Venezuela / Dopo la morte di Chávez e le elezioni

Chavez Venezuela

Il 5 marzo 2013 è morto Hugo Chávez. Personalità forte e di enorme carisma, il presidente venezuelano ha segnato la storia latinoamericana degli ultimi 15 anni. È stato un personaggio grandemente amato e grandemente odiato. Dell’opera di Chávez, della risicata vittoria del nuovo presidente Nicolás Maduro e dei problemi del paese abbiamo parlato con padre Pablo Uruquiaga, parroco in un quartiere popolare di Caracas. Queste sono le sue risposte, appassionate e mai banali.

 Hugo Chávez Frias, presidente del Venezuela (Repubblica bolivariana del Venezuela), è morto il 5 marzo 2013. È stato sconfitto da un tumore all’età di 58 anni. Personaggio unico e controverso, amato dalla maggioranza del suo popolo, odiato dalle oligarchie di tutto il mondo, deriso e insultato dai principali media internazionali, Hugo Chávez si era imposto in tutte le elezioni venezuelane a partire dal 1998. Nell’aprile del 2002 era stato deposto da un colpo di Stato guidato da Pedro Carmona Estanga, presidente di Federcameras (la Confindustria venezuelana), con l’appoggio di Washington e Madrid, delle televisioni private del paese e della Chiesa cattolica venezuelana. A partire da quegli eventi i rapporti del presidente Chávez, cattolico dichiarato, con la gerarchia della Chiesa venezuelana sono sempre stati tesi, con vicendevole scambio di accuse e parole forti.

Per discutere del ruolo avuto da Chávez nella storia recente del Venezuela, dei principali problemi del paese e dei rapporti con la Chiesa cattolica abbiamo conversato lungamente con padre Pablo Uruquiaga Fernández, nato nel 1945 a Pinar del Río, Cuba. Dopo alcuni anni a Miami, nel 1968 Pablo Uruquiaga arriva in Venezuela. Conclude gli studi all’Università cattolica Andrés Bello di Caracas. Nel 1975 viene ordinato sacerdote. Dopo 4 anni a Petare, nel 1980 diventa parroco della chiesa La Resurrezione del Signore, a Caricuao, un quartiere di Caracas abitato da classi medio-basse.

Quel «dittatore» di Hugo Chávez

Padre Pablo, in Europa e in generale nel mondo occidentale il Venezuela di Hugo Chávez ha sempre goduto di una pessima stampa. Ad esempio, in occasione delle elezioni di ottobre 2012, i principali quotidiani italiani – Corriere della sera, La Stampa, la Repubblica – hanno fatto a gara per scrivere editoriali (spesso per mano di persone che mai sono state in Venezuela) contro il presidente Chávez. Qualche anno fa questa rivista (Missioni Consolata) pubblicò una serie di reportage sul paese e ci furono proteste perché non si parlava male di Chávez. Da prete cattolico, come spiega questa nomea?

«La mia opinione è che tutte queste persone non hanno conosciuto il presidente Chávez. Lo ripeto ogni volta anche alla mia stessa famiglia: voi vi accanite contro un “mostro virtuale” – che non esiste e che non è mai esistito – chiamato “Chávez”. Questo mostro è stato costruito attraverso i media che io definisco “perversi” in quanto strumenti di manipolazione e confusione sociale, sottoposti a precisi interessi economici e politici. Media creati dalle oligarchie per opprimere e sottomettere la povera gente. Media non interessati a fare conoscere la vera immagine di Chávez.

Il vero Hugo Chávez, profeta e martire, si è visto il 5 marzo 2013, giorno in cui il Dio di Gesù lo ha glorificato e milioni di persone hanno reso gloria a Dio per la sua vita. Persone che hanno dimostrato il loro apprezzamento e il loro amore formando lunghe processioni davanti al suo feretro esposto nella Scuola militare di Caracas. Code che sono durate 10 giorni lungo le 24 ore senza mai fermarsi. Siamo stati testimoni in prima persona di un evento che nessun mezzo di comunicazione ha potuto nascondere. Io ne sono convinto: il Dio di Gesù lo ha glorificato attraverso il suo popolo, quello più umile e semplice».

 

Quando una persona viene colpita da una grave malattia, ci dovrebbe essere più rispetto, più umana pietas o – come dovrebbe essere per i credenti – più carità cristiana. Con Chávez non è stato così. Al contrario, avversari in patria e fuori ne hanno approfittato per chiedere il suo allontamento. Quando infine è morto, molti hanno trattenuto a stento il proprio compiacimento. Perché?

«È vero. In Venezuela e nel mondo molti hanno pregato per la sua morte, credendo che egli fosse un vero mostro. Altri perché lo odiavano come fu odiato Gesù di Nazareth, per invidia, vendetta e sete di potere. Hugo Chávez era venuto a “aprire gli occhi dei ciechi”, per cui un popolo sottomesso prendesse coscienza della realtà di oppressione in cui si era addormentato. Il presidente ne ha risvegliato la dignità. Tutto questo non poteva essere accettato dai potenti, vale a dire da quelli che si ritengono “migliori di tutti gli altri”.

Era accaduto lo stesso per Gesù di Nazareth e  per l’arcivescovo Romero 33 anni fa in Salvador, e ancora per Gandhi in India e Martin Luther King negli Stati Uniti. Non dimentichiamo che una parte degli oppositori non credevano che il presidente fosse malato, ritenendo la malattia un imbroglio come quelli di cui essi sono normalmente artefici. Senza accennare al fatto che molti tra noi hanno forti sospetti che il cancro del Presidente sia stato indotto dai suoi stessi nemici, stranamente sempre molto ben informati sull’evoluzione della malattia».

 

In Occidente si contesta la lunga permanenza di Chávez al governo del Venezuela. Non interessa il fatto che il presidente sia sempre stato scelto tramite libere elezioni, strumento principe della democrazia. Si parla senza mezzi termini di «caudillismo» e spesso di dittatura.

Cosa pensa al riguardo?

«Hugo Chávez è stato il più grande democratico che questo paese abbia avuto in tutta la sua storia repubblicana. Un capo o un dittatore è colui che si impone  contro la volontà popolare. Hugo Chávez è stato rieletto molte volte dal suo popolo, con elezioni limpide e certificate, con un Consiglio nazionale elettorale pulito.

Il contrario di quanto normalmente avveniva nei governatorati di Miranda e Zulia (i due stati con il più vasto bacino elettorale) vinti più volte dall’opposizione, che nulla reclamava in quanto abituata alla frode e alla compravendita dei voti. La consegna era: “il certificato uccide il voto”. Questo significa che i voti della gente venivano trasferiti in resoconti elettorali che essi stessi fabbricavano e qui nasceva il broglio. È per questo che il popolo umile e povero non poteva mai vincere, se non attraverso un numero enorme di voti che essi non sarebbero stati in grado di adulterare. È proprio ciò che accadde nel dicembre 1998, quando Chávez conquistò per la prima volta la presidenza della Repubblica bolivariana del Venezuela».

 

Nel 2009 un referendum popolare approvò – con scandalo e clamore mondiali – il cambio degli articoli della Costituzione che vietavano la rielezione. Quella stessa Costituzione che, con l’articolo 72, consente di revocare tutte le cariche elettive dopo metà mandato. Un esempio straordinario di democrazia che i paesi occidentali e i media hanno quasi sempre dimenticato…

«È così. Con la nuova Costituzione, voluta da Chávez nel 1999, siamo andati oltre la “democrazia rappresentativa”, in cui il popolo vota per un candidato e di lì in poi  questo rappresentante fa quello che vuole, in cui occorre aspettare cinque anni per “cacciare dal potere” un rappresentante inadeguato o indegno con il rischio di votare un altro con le stesse abitudini del precedente. La Costituzione bolivariana ha creato una “democrazia partecipativa e protagonista”, dove la gente non soltanto vota ma il “prescelto”, una sorta di portavoce del popolo, deve rendere conto del suo operato e se, dopo due anni, questo viene giudicato insoddisfacente è possibile revocarne il mandato. L’opposizione vuole salvare la sua “democrazia”, mentre la gente comune vuole difenderne “una diversa”, quella istituita con la Costituzione del 1999. Questa è la differenza».

 

Il petrolio venezuelano e le «misiones»

 

Il Venezuela è uno dei principali produttori mondiali di petrolio.

Lei ritiene che il governo abbia utilizzato bene le grandi entrate petrolifere?

«Pdvsa, una delle aziende più ricche e importanti del mondo, era proprietà privata di circa 40.000 famiglie. Ovvero 200.000 venezuelani erano i padroni della sola impresa produttrice di ricchezza del paese. Peccato che il Venezuela abbia 16 milioni di abitanti. Prima di Chávez, soltanto una piccola percentuale del paese si avvantaggiava del Venezuela saudita. Con i miei occhi sono stato testimone di questa spaventosa ingiustizia. Venezuelani che arrivavano a Miami per comprare editici di quattro piani e venti appartamenti pagando tutto in contanti. Gli statunitensi rimanevano stupefatti perché nessun’altro agiva così. Pensavano che tutti i venezuelani fossero ricchi. Per decenni un’esigua minoranza ha sperperato la ricchezza petrolifera del paese. Oggi il petrolio appartiene a tutte e tutti i cittadini del Venezuela».

 

Gran parte dei profitti derivanti dal petrolio sono stati utilizzati per finanziare le cosiddette «misiones». I critici – più o meno attendibili – parlano di spreco e di occasione persa per far progredire l’economia del Venezuela.

«I proventi del petrolio – pur in presenza della corruzione – sono stati messi a disposizione dei più bisognosi, attraverso gli investimenti nelle missioni sociali.

Pensiamo ai servizi per la salute della Missione Barrio Adentro. O alle missioni nel campo dell’istruzione: la Missione Robinson attraverso la quale milioni di persone analfabete hanno imparato a leggere e scrivere; la Missione Ribas, con la quale chi già aveva un diploma di scuola primaria ha potuto accedere alla secondaria e ottenere un diploma; e infine la Missione Sucre, attraverso la quale molti sono stati in grado di studiare all’Università e si sono laureati in diverse specialità. Sogni diventati realtà per molti emarginati. E ancora ricordo la Missione Negra Hipolita, attraverso la quale gente senza fissa dimora è stata recuperata a un’esistenza dignitosa. E poi la Missione Vivienda, con cui migliaia di famiglie hanno beneficiato di una casa dignitosa, soprattutto coloro che erano rimasti danneggiati da eventi naturali. Le missioni hanno aiutato le classi più povere, ma ovviamente sono costate un sacco di soldi. In esse è stata investita la maggior parte degli utili di Pdvsa, utili che prima finivano nelle mani dei privilegiati in questo paese.

Questa è la verità che l’opposizione e i media occidentali – compresi quelli del suo paese – non vogliono riconoscere. Per costoro investire nel sociale è un assurdo economico. “Perché sprecare denaro con persone che non producono?”, affermano costoro».

 

Al successo delle missioni fanno da contraltare gli insuccessi in materia di sicurezza. Leggendo i giornali e alcune statistiche, parrebbe che il Venezuela sia un paese con alti o altissimi livelli di criminalità comune.

È così?

«Purtroppo è così. Il problema dell’insicurezza peggiora ogni giorno, ma questo è una questione che non è nata con Chávez, ma che deriva dal deterioramento di un sistema capitalista corrotto ereditato dal passato che non è facile da risolvere. Non è un problema risolvibile con la bacchetta magica. Per risolverlo occorre cambiare la “cultura della corruzione” che ancora domina il nostro paese e tutto il mondo. Giudici e avvocati corrotti sono ancora in vendita per denaro, l”idolo” che occorrerebbe distruggere e su cui stiamo lavorando. C’è la polizia abituata a farsi corrompere. C’è il narcotraffico, che si è infiltrato nel governo e nell’opposizione. Ma anche all’interno delle classi popolari, dove spesso i bambini vengono arruolati come “muli”, cioè come trafficanti di droga che – in quanto minori – non sono imputabili per i loro reati. In questo modo, i “colletti bianchi” non vengono mai toccati.

È un problema molto serio. Il governo sta facendo molti sforzi per affrontare la questione, ad esempio con una campagna per il “disarmo”. Ha già raggiunto alcuni risultati, ma non quelli che ci aspettavamo. In verità, abbiamo bisogno di “disarmarci nella mente e nel cuore”, perché qui sta il problema principale. Noi della Chiesa, in forza del nostro ruolo, stiamo lavorando in questa direzione».

 

Libertà d’espressione e televisioni venezuelane

 

Altra accusa mossa al Venezuela riguarda la libertà di espressione. I proprietari dei media venezuelani sostengono di essere danneggiati dal governo bolivariano con la legge sulle Tv e con l’obbligo di «cadena nacional», cioè il dovere di trasmettere programmi o messaggi delle autorità governative. Cosa risponde a queste critiche?

«Le “catene televisive” del presidente e in particolare il suo programma “Ciao, Presidente” hanno rappresentato l’unico modo che il governo di Hugo Chávez aveva per comunicare con veridicità tutto quello che stava facendo la rivoluzione bolivariana. Una verità completamente occultata dai media privati.

Prima della rivoluzione in questo paese tutti i mezzi di comunicazione erano in “mani private” ovvero nella totale disponibilità delle oligarchie che manipolavano (e continuare a manipolare) le persone con le loro bugie o “mezze verità” per confondere e favorire i propri esclusivi interessi. Senza dubbio, i media privati, molto più forti e potenti in termini di qualità e portata rispetto alla televisione pubblica, sono “in catena nazionale” 24 ore al giorno, cercando di distorcere la realtà. In Venezuela dobbiamo affrontare una vera e propria “guerra mediatica”».

 

Una guerra che ebbe il suo apice durante il golpe di Stato dell’aprile 2002 quando i canali televisivi privati ebbero un ruolo di primo piano nella (temporanea) destituzione del presidente Chávez.

«Appunto per questo, nel dicembre 2004, è stata emanata la “Legge di responsabilità sociale nelle radio e in televisione” (nota con l’acronimo di Resorte), che regola l’uso dei mezzi di comunicazione di massa.

Mi ricordo che, dopo averla tenuta tra le mani e averla letta attentamente, andai a trovare un amico e fratello, “dottore in Teologia morale”. Gli chiesi la sua opinione sulla legge. Egli mi rispose: è così buona che l’unica cosa che manca sono le “citazioni bibliche” a margine. Al ché io gli ribattei: e perché voi non non lo dite in pubblico? Mi rispose: se lo dicessimo, direbbero che siamo “chavisti”, cioè partigiani di Chávez».

 

Oltre a quella legge, i media e l’opposizione contestano la chiusura – nel maggio 2007 – del canale privato Radio Caracas de Television (Rctv).

«In Venezuela non si è mai chiuso alcun media dell’opposizione. Per quanto riguarda il caso di Rctv, la sua cessazione fu determinata dal mancato rinnovo della concessione. Questa non fu rinnovata a causa della violazione della legge e dell’uso improprio dell’etere, uno spazio pubblico di cui – è bene ricordarlo – non si è mai proprietari, essendo esso un bene di tutti».

 

Il Venezuela di Chávez ha ottimi rapporti con Cuba. Ciò viene preso a pretesto dagli Stati Uniti per attaccare il Venezuela. Tuttavia, alcune relazioni con paesi come l’Iran e la Bielorussia sono effettivamente discutibili. Che strategia segue il Venezuela nel campo delle relazioni internazionali?

«La Repubblica bolivariana del Venezuela è una nazione libera e indipendente e come tale ha il diritto di avere rapporti con tutti i paesi che ritenga opportuno, senza alcun tipo di ingerenza straniera. Come nazione noi desideriamo avere le migliori relazioni con tutti i paesi fratelli. La sola cosa che pretendiamo è il rispetto per la nostra indipendenza e sovranità.

Condivido pienamente la politica internazionale esercitata dal nostro presidente Hugo Chávez. Oggi il Venezuela è rispettato in tutto il mondo anche per la sua capacità di aiutare i popoli più bisognosi. Ci siamo resi conto che la nostra ricchezza – il petrolio – ci è stato donata dal Creatore per servire le nazioni più povere e non per sfruttare gli altri o per regalarla agli imperi di turno, diventandone i servi. Abbiamo ottimi rapporti con paesi di diverse culture e ideologie che ci rispettano e che non ci sfruttano come ha fatto un tempo l’impero nordamericano. Ho la certezza che la politica internazionale finora seguita continuerà anche con il nuovo presidente Nicolas Maduro, che era stato cancelliere del presidente Chávez».

 

Hugo Chávez e la Chiesa cattolica venezuelana

 

Nei suoi interventi pubblici, il presidente Chávez faceva spesso riferimento alla propria fede, con citazioni dai testi sacri e considerando Gesù Cristo un rivoluzionario ante litteram. Eppure, la Chiesa cattolica, soprattutto la gerarchia venezuelana, è sempre stata un durissimo avversario del presidente, tanto da dare il suo supporto al golpe dell’aprile 2002.

Come spiega questo atteggiamento?

«Io ho sempre creduto nella fede di Hugo Chávez, ma più per quello che faceva che per quello che diceva. Ancora una volta mi permetto di parafrasare il Vangelo secondo Matteo: “Dai suoi frutti l’ho conosciuto”. Hugo Chávez, come un profeta, ha detto alcune verità a qualche alto esponente della Chiesa venezuelana (a volte io non ero d’accordo, non su quello che diceva, ma come lo diceva). Costoro non erano abituati a che qualcuno, a quei livelli, dicesse loro in faccia alcune verità e ciò non è mai stato perdonato. Il comportamento del presidente era interpretato come una “mancanza di rispetto”. So che, in molte occasioni e in diversi modi, il presidente ha cercato una riconciliazione o almeno un dialogo con loro. Inutilmente, in quanto alcuni di loro si sono sempre opposti, trincerandosi dietro una posizione radicale contro di lui, accusato di aver offeso la loro dignità. A quanto ho capito, è questa la radice di un conflitto mai risolto».

 

Al di là delle sue personali speranze, secondo lei senza Chávez la rivoluzione bolivariana potrà continuare?

«In varie occasioni il presidente Hugo Chávez disse: “Io sono soltanto una semplice paglia mossa da questo uragano chiamato Rivoluzione bolivariana”. Lui si considerava un servitore del popolo tanto da dire: “Io non sono più Chávez. Chávez è tutto un popolo che grida: ‘Siamo tutti Chávez’”».

 

Questo è lo slogan gridato dalla sua gente nei giorni della morte…

«Questo non è un semplice “slogan”. È una realtà che è diventata evidente in quelle lunghe fila davanti alla sua bara di migliaia di ammiratori che andavano a testimoniare la propria riconoscenza e le proprie convinzioni. Il mondo ne è stato testimone. Sono convinto che lo spirito di Chávez continuerà ad accompagnarci così come quello di Simon Bolivar che il presidente seppe magistralmente “resuscitare dalla sua tomba”, dove i potenti ipocritamente andavano a “onorare la sua memoria” e ad assicurarsi che l’eroe continuasse “a riposare in pace e ben morto”. Vivo in questo paese da ben 45 anni e posso dire che questa rivoluzione si è generata nel popolo venezuelano molti anni fa. Molti profeti popolari avevano già alzato la loro voce di protesta (tra cui il famoso cantante popolare Ali Primera). Hugo Rafael, con molta saggezza, ha saputo raccogliere l’ardore rivoluzionario del popolo venezuelano e trasformarlo in un “potere sostanziale” attraverso un’assemblea costituente (che funzionò da agosto a novembre del 1999, ndr) che ha prodotto la migliore Costituzione delle Americhe (ma io direi del mondo)».

 

Il Socialismo del Secolo XXI: una bestemmia?

 

Le costituzioni sono fondamentali, ma spesso non si traducono in fatti.

 Come vede il futuro del Venezuela, padre?

«Il futuro sarà l’occasione per approfondire ulteriormente la nostra idea conosciuta come “Socialismo del Secolo XXI”».

 

Padre, lei vuole farmi licenziare! In questo mondo parlare di socialismo è quasi una bestemmia, ancora di più se detto da un prete cattolico…

«Ma è un socialismo molto diverso dagli esempi dei secoli passati! Il passato è passato. Il socialismo alla venezuelana è più ispirato al Vangelo di Gesù di Nazareth e alla spiritualità degli aymara della Bolivia; più alle idee ecologiste e bolivariane che alle ideologie europee dalle quali abbiamo comunque attinto alcuni elementi importanti e strategici. Questa è una strada non soltanto per il Venezuela, ma per quella grande patria che è l’America e per gli altri popoli del mondo, che desiderano unirsi. La rivoluzione di Chávez, Bolivar, Marti, San Martin, Lincoln, Martin Luther King, Gandhi continuerà con altri grandi spiriti che – io ne sono certo – sempre ci accompagneranno. Il futuro è nostro finché non avremo bandito dalla terra la fame, l’ingiustizia, lo sfruttamento e la malvagità».

 

Intanto, padre Pablo, nelle elezioni di domenica 14 aprile 2013 Nicolás Maduro ha vinto di stretta misura. Il nuovo presidente non sembra avere

né il carisma né la statura politica di Hugo Chávez.

«Non nego che quella del 14 aprile è stata una vittoria amara. Mi sono venute in mente le parole di Gesù: «Io ti assicuro che oggi, questa stessa notte, prima che il gallo canti due volte, tu mi avrai rinnegato tre volte» (Mc14, 30). Chávez è stato tradito non tre, ma un milione di volte (tanti sono i voti venuti a mancare, ndr). È stato un risultato doloroso e triste, ma la rivoluzione non si ferma e la nostra democrazia ha vinto una nuova battaglia. E tuttavia, se un milione di persone hanno tradito, sette milioni e mezzo di venezuelani sono rimasti fedeli.

Quanto al carisma e alla statura di Maduro, il problema non sussiste. Egli non deve inventare nulla dato che il presidente Chávez ha lasciato il programma di governo per i prossimi 5 anni (Piano della patria). Il neo presidente dovrà soltanto metterlo in pratica, aiutato da una compagine governativa di sicuro valore e dalla nostra democrazia partecipativa».

Paolo Moiola

 

PUBBLICAZIONE: rivista «Missioni Consolata», .

AGGIORNAMENTO: una successiva intervista con padre Pablo Uruquiaga è reperibile su questo stesso sito.